I lavoratori disabili sono una risorsa (e migliorano la creatività)

Il diritto al lavoro delle persone con disabilità è ancora disatteso, nonostante la legge n. 68 del ‘99 (e successive modifiche) sul collocamento mirato. I dati dell’Istat sono impietosi: la quota di occupati tra le persone con disabilità è appena dell’11,1 per cento, a fronte del 55,2 per cento nel resto della popolazione. Ci sono ancora troppe aziende nel nostro Paese che preferiscono pagare multe piuttosto che assumere. Ma cominciano ad essercene anche altre che, al di là di un mero adempimento di legge, considerano l’inclusione lavorativa una risorsa da valorizzare. Il loro è un approccio organizzativo, il cosiddetto “diversity management”, che mira a conciliare il diritto delle persone alle pari opportunità con le esigenze di competitività ed efficienza dell’azienda. Se ne è discusso nei giorni scorsi a Roma nel corso di un convegno, «Disability & diversity management: ricerche, esperienze e prospettive a confronto», organizzato dall’associazione onlus “Abilitando” col patrocinio, tra gli altri, di Parlamento europeo, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero del Lavoro, Inail, Regione Lazio e Comune di Roma.

Abilitare la disabilità
«Le diversità possono fare la differenza in termini di creatività, innovazione, business, quindi diventano una risorsa da valorizzare non solo per adempiere a obblighi normativi ma anche come strumento per aumentare la competitività dell’impresa e le possibilità di successo - spiega la vicepresidente di Abilitando, Consuelo Battistelli, diversity engagement partner per IBM Italia -. Ogni singolo individuo può portare un valore unico in azienda e contribuire alle sue performance». Nel quadro del diversity management si colloca il disability management, che si focalizza sulla persona con disabilità, sia valorizzandola all’interno dei processi aziendali durante tutta la vita lavorativa, a partire dal reclutamento, passando per lo sviluppo delle competenze, fino ai percorsi di carriera, sia adattando l’organizzazione aziendale in modo che possa rispondere ai bisogni del lavoratore con disabilità. «Il disability manager - continua Battistelli - è il “facilitatore”, cioè il professionista, dipendente dell’ente pubblico o dell’azienda oppure un consulente esterno, che ha il compito di favorire l’inclusione di qualità nel contesto lavorativo predisponendo progetti personalizzati in base ai bisogni di ciascuno. In pratica si tratta di abilitare la disabilità». 

Soluzioni ragionevoli
Le norme in vigore prevedono il diritto dei lavoratori con disabilità a non essere discriminati. Per garantire loro una reale parità di trattamento, i datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti ad adottare accomodamenti ragionevoli, a meno che tali provvedimenti non richiedano un onere finanziario sproporzionato. Devono quindi fornire gli strumenti giusti per consentire ai lavoratori con disabilità di esprimere al meglio le proprie competenze ed essere produttivi. Si tratta di misure personalizzate a seconda delle esigenze della persona e della situazione lavorativa, che vanno dall’abbattimento delle barriere architettoniche e sensoriali nei luoghi di lavoro, all’utilizzo di ausili e tecnologie assistive, fino all’adattamento dei ritmi di lavoro, ricorrendo per esempio allo smart working. 

Incentivi economici
«Per superare la sproporzione dell’onere economico - spiega Carla Spinelli, professore associato di Diritto del Lavoro all’Università Aldo Moro di Bari - sono previsti incentivi, come i fondi regionali per la disabilità, cui le aziende possono attingere per il rimborso forfettario parziale delle spese necessarie all’adozione di accomodamenti ragionevoli, per l’introduzione del telelavoro, l’abbattimento delle barriere e l’istituzione del responsabile dell’inserimento lavorativo delle persone con disabilità nei luoghi di lavoro, ovvero il disability manager. Una figura, quest’ultima, che va introdotta obbligatoriamente nel settore pubblico, mentre è su base volontaria in quello privato». All’Inail, invece, sono attribuite le competenze in materia di reinserimento e di integrazione lavorativa delle persone con disabilità da lavoro. L’Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro, quindi, ha il compito di accompagnare il lavoratore con disabilità, mediante progetti personalizzati, nella fase di inserimento (e reinserimento) lavorativo e di sostenere il datore di lavoro nell’ottemperare ai propri obblighi. 

Superare i pregiudizi
«Per realizzare in concreto l’inclusione delle varie diversità e consentire a tutti di svolgere bene il proprio lavoro è necessario non solo abbattere le barriere architettoniche e sensoriali ma anche quelle relazionali coi colleghi, il team e i manager - ricorda Battistelli -. L’inclusione comporta l’accettazione dell’altro così com’è, non il suo accomodamento agli altri, pertanto i diritti dei lavoratori non sono accomodabili ma sono tali solo se vissuti ed esercitati in modo che la diversità sia quel valore aggiunto che può contribuire alla performance efficace dell’azienda. Il disability (o diversity) manager può favorire il dialogo tra competenze professionali e caratteristiche personali con le esigenze aziendali affrontando sia questioni organizzative che di accessibilità». 

Buone pratiche
Ma qual è oggi la situazione in Italia? L’approccio del diversity/disability management è ancora appannaggio di grandi aziende e multinazionali che hanno compreso il valore aggiunto della diversità ai fini di un maggiore benessere dei dipendenti, ma anche in termini di business. Al convegno di Roma sono state illustrate alcune di queste esperienze mirate a valorizzare le differenze, dai percorsi di formazione per i dipendenti all’ inserimento lavorativo di persone con disabilità motoria, sensoriale, psichica e affette da autismo. «Una ricerca del Boston Consulting Group, multinazionale statunitense di consulenza strategica, ha evidenziato che investire sulle diversità nel sistema produttivo genera anche profitto - spiega Marco Buemi, esperto di diversity management -. Ambienti eterogenei in tutti i settori aziendali comportano più creatività e innovazione, quindi maggiore produttività». 

Questione di cultura
In Italia da circa un anno è stata creata una piattaforma chiamata Inclusive mindset, cioè mentalità inclusiva, che ha l’obiettivo di far dialogare le persone a rischio di discriminazione con enti pubblici, aziende private e terzo settore, che cercano il talento in una persona. «Il 9 per cento delle persone che hanno partecipato all’inclusive job day ha trovato lavoro in azienda» riferisce Buemi. «Sta aumentando l’interesse, da parte di imprese e professionisti, per aspetti della vita lavorativa centrati sul rispetto e la valorizzazione delle differenze individuali, ma non basta - conclude Consuelo Battistelli -. Col convegno e altre iniziative miriamo alla diffusione capillare delle buone pratiche anche in realtà più piccole - sia nel settore pubblico che in quello privato - che andrebbero affiancate da istituzioni pubbliche e parti sociali, uniche abilitate a elaborare politiche di sostegno per la creazione di una cultura inclusiva e tollerante verso il “diverso”. E poi, le basi normative sono indispensabili affinché iniziative nate nelle singole realtà trovino una disciplina organica e uniforme in tutto il Paese».

Fonte: corriere.it

Condividi